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STORIA DI UNA RINASCITA

19-11-2023

“Laura, che bella sorpresa! Sei venuta a trovarmi in azienda. Non sei al Liceo ad insegnare filosofia ai tuoi studenti?”
“No papà, è il mio giorno libero” e si avviò verso di lui, salutandolo a mani giunte come fosse una giapponese e come ormai diventata normale abitudine dai tempi della pandemia.
L’ingegner Alberto Rambaldi era un sessantacinquenne, magro, dal portamento molto distinto. Dietro la mascherina blu, si intravedeva una lieve barba bianca, che gli incorniciava il viso sottile ed evidenziava i suoi occhi, di un azzurro intenso. Subito dopo la laurea era entrato nella ditta, che aveva fondato suo padre Giuseppe.
Nei primi anni Cinquanta, Giuseppe, dopo aver lavorato per molti anni come operaio, aveva deciso di mettersi in proprio. Con grandi sacrifici aveva affittato due stanze a piano terra di una cascina, con un ampio cortile esterno in terra battuta ed ubicata nella prima periferia Nord di Milano. All’interno di una delle due stanze, aveva montato una macchina utensile, che aveva comprato usata, con un prestito concesso da una banca cooperativa. Aveva iniziato costruendo piccoli pezzi per le gru edilizie da cantiere. In quel periodo c’era una grande richiesta di tale tipo di gru ed il lavoro aumentò a dismisura. Convinse un amico a diventare suo socio e fondarono una nuova società, la “Rambaldi e socio” 
Nel corso del tempo la piccola officina si trasformò in un vero e proprio stabilimento, posto nella zona industriale di S.S. Giovanni a nord-est di Milano e composto da un capannone a cinque campate, da una grande palazzina per gli uffici, la mensa e la sala conferenza, da prati ben curati intorno agli edifici e da un’ampia area esterna per l’esposizione delle gru.
“Ascolta Laura, devo dirti una cosa importante. Ho preparato una lettera e vorrei che la esaminassi”. La figlia si sedette davanti a lui ed iniziò a leggerla.
“Care e cari dipendenti, è per me veramente doloroso informarVi della mia decisione di terminare l’attività e di chiudere l’azienda, fondata da mio padre. Come a Voi noto, negli ultimi consecutivi cinque anni, il bilancio societario è stato in notevole perdita e le banche non ci concedono più il credito, necessario per proseguire le nostre attività industriali. La crisi economico-finanziaria del 2008, la spietata concorrenza cinese e da ultimo le presenti terribili pandemia e caro energia ci hanno messo completamente fuori mercato. Nonostante i miei sforzi finanziari, con vendite ed ipoteche sui beni di famiglia, non sono più in grado di sostenere economicamente la situazione. Ovviamente onorerò tutti gli impegni contrattuali nei Vostri confronti sino al prossimo Giugno di quest’ anno, data in cui ho deciso che l’azienda dovrà appunto chiudere. Insieme a voi ho scoperto la bellezza di un lavoro entusiasmante. Il nostro marchio si è diffuso nel mondo e le nostre gru sono cresciute nei decenni, diventando mezzi di sollevamento sempre più complessi ed in grado di compiere tiri straordinariamente eccezionali, da centinaia di tonnellate. Ho commesso però dei gravi errori di valutazione. Non ho capito cosa significasse la globalizzazione per la nostra impresa. Invece di essere un’opportunità è stato l’inizio della nostra fine. Non abbiamo trovato le giuste contromisure ai prezzi bassi della concorrenza asiatica, dovuti al loro ridotto costo del lavoro. E’ stata un’avventura esaltante, che ho condiviso con tutti voi. Ora però devo rassegnarmi. Il mio tempo è finito. Auguro di cuore a tutti di ricollocarsi nel minor tempo possibile. Aver lavorato nella nostra azienda sarà certamente un’ottima referenza per tutti voi. Un caro saluto.
Il vostro Presidente, Alberto Rambaldi
S.S Giovanni. Gennaio 2022”  
“Papà, non immaginavo che la situazione fosse così grave” disse Laura, appoggiando la lettera sulla scrivania. 
“Eh, sì. E’ andata peggiorando progressivamente. Non sai come sto soffrendo. Sento tutta la mia la responsabilità sociale. Non potrò più dare sostentamento di vita a centocinquanta famiglie. Le abbiamo studiate tutte con i miei collaboratori più stretti. E’ ormai una battaglia impari”, le rispose dimesso il padre.
“Papà, sei sempre stato combattivo. Hai superato fasi difficili. I tuoi lavoratori ti sono sempre stati vicini. Sei sicuro di voler smettere così? Avevi sempre detto che non c’era lavoro più bello. Mi spiegavi del progetto che dalla carta, dai disegni si trasformava in realtà, in un’opera d’ingegno vera, di strutture metalliche, che con un’armonia studiata di movimenti, riusciva a sollevare pesi immani” replicò eccitata Laura.
“Questa bellezza del lavoro non può svanire così, dopo anni di fatica per crearla. L’impegno del nonno, tuo e di tutti i lavoratori che hanno contribuito a renderla duratura per così lungo tempo. Papà, dammi qualche giorno. Devo pensare qualcosa per aiutarti!” insistette Laura.

ROBERTO RINALDI